“Una buona memoria è un buon dono di Dio. Ma poter dimenticare è talora un dono divino ancora migliore” (G.C. Lichtenberg)
Con questa citazione nel suo “Breviario” il Card. Gianfranco Ravasi mi fa ripensare ad uno scambio di idee avuto con un amico d’infanzia. Ci siamo incontrati in occasione della commemorazione dell’eccidio commesso dalle truppe tedesche il 27 settembre ’44 a Ca’ Berna in provincia di Bologna. Il mio amico, al termine della breve cerimonia, argomentava sull’accaduto sostenendo che, al termine dell’ultimo conflitto mondiale, ci sia stata da parte dei partigiani troppa benevolenza verso gli sconfitti e asserendo che si sarebbero dovuti “regolare tutti i conti” allora, eliminando fisicamente gli avversari troppo compromessi col regime.
Presente all’evento anche Tonino, testimone oculare di quella immane tragedia. Incontrandolo la scorsa estate, avevo parlato con lui di quel terribile accadimento che, secondo una ricostruzione fatta da uno dei protagonisti, fu quasi certamente innescato da una imprudenza commessa, fra gli altri, da un giovane che abitava e ha continuato ad abitare fino alla sua morte a poca distanza dal luogo del massacro. Tonino mi disse che quel tragico mattino, se avesse potuto, lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani rendendosi però immediatamente conto che la vendetta ad altro non sarebbe servita che a generare altri lutti.
La sua testimonianza di perdono mi ha fatto pensare alle parole di mio padre Giulio, di un paio di anni più vecchio di Tonino e all’epoca partigiano che, riferendosi all’immediato dopoguerra, mi raccontò che alcuni paesani, per i loro comportamenti durante il ventennio fascista, avrebbero probabilmente meritato di pagare con la vita le loro nefandezze ma che la comunità, considerata la gravissima situazione di miseria e le distruzioni patite, preferì rimettersi al lavoro lasciandosi alle spalle i rancori e soffocando la sete di vendetta. Furono tempi difficili nei quali i “vecchi vizi” talvolta riaffiorarono e i deboli si trovarono nuovamente ad essere vessati dalle ingiustizie di chi, cambiando camicia, continuò ad esercitare il potere.
Sono orgoglioso della mia gente che, in un momento così difficile, come dice il Cardinale Ravasi, ha saputo “resettare la pagina sovraccarica della memoria perché ritorni bianca per una nuova scrittura”.